Tutte le vite passate di tutti gli uomini che sono morti, vi siete mai chiesti che fine abbiano fatto? Tutte le loro storie, tutti i loro patimenti, tutti i loro sogni… quelli realizzati e quelli svaniti nel nulla. Magari quella di chi è stato impiccato per aver rubato sei cervi nel parco di un re, ah che crimine! E perché non anche quella di chi si tagliò le vene come prova d'amore lasciando solo "il sangue secco delle sue vene" alla vanità dell'amata? E chi è morto per delle idee? Perché è "bello" sì ma per quali vale la pena morire? Tutta la vita di ognuno di questi e di tutti gli altri morti riassunta in una lapide con due date: quella della nascita e quella della morte. Vi siete mai chiesti come avrebbero raccontato ciò che erano stati? Avete mai avuto quella inquietante curiosità nel ritrovarvi in un cimitero? Magari su una collina. Quella curiosità di cercare in tante date e in tante foto di gente che fu i perché e i percome di quella parentesi su questa terra che i più si affrettano a definire in ogni caso meravigliosa ma che spesso nasconde un crudo e mesto risvolto.
Fabrizio De André che, per rispetto della vostra cultura, non mi accingo qui a presentare avendo troppa stima di voi, "cari fratelli dell'altra sponda", Fabrizio ha compiuto un viaggio ispirandosi ad un libro di Edgar Lee Masters: "L'antologia di Spoon River". Non è l'unico viaggio che ha compiuto (e che ho citato), ma questo è un viaggio nelle parole che direbbero dei morti qualunque se potessero descriverci la loro vita: che lezione ci darebbero? Che insegnamento ci potrebbero consegnare? Potrebbero dire di aver trovato un significato nel loro breve tragitto qui da noi? Che è poi il breve tragitto anche nostro e che ci rende tutti uguali. Potremmo trovare un minatore che una mattina qualunque salutò la sua famiglia non sapendo che sarebbe stata l'ultima volta perchè morì bruciato in quella stessa miniera che era il solo mezzo per poter sfamare i suoi cari; oppure, oppure una prostituta uccisa in un bordello qualsiasi da un cliente ubriaco "dalle carezze di un animale"; oggi potremmo dire uccisa per strada o in un bosco o in un casolare abbandonato, non fa alcuna differenza. Potremmo trovare una ragazza partita per l'Inghilterra dall'Illinois sperando di trovare una qualche fortuna o semplicemente "una vita lontano" e che tornò a casa su una bara. Potremmo pensare ai tanti immigrati che salpano dall'Africa o da qualunque altra costa alla ricerca di qualcosa di diverso e che vedono spesso il loro sogno spezzarsi alla prima mareggiata. E che ne sarebbe dei generali? Di quelli che "si fregiarono nelle battaglie con cimiteri di croci nel loro petto"? Cosa ne è di quelli che sono diventati eroi perchè più "bravi" dei loro ufficiali rivali a far massacrare i propri soldati e quelli degli altri? Che ne è di quei soldati dall'identico umore, così identici anche quando, cadaveri, la corrente li porta in braccio?
Che ne è di quei tanti giovani presi da casa, dal proprio amore e messa un'arma in pugno e con la promessa di uno stipendio fisso gettati al macello per ordine di quei generali, o meglio per ordine di qualche politico chiuso in qualche stanza del potere? Ché il potere, a qualunque fede e colore appartenga, buono non è mai; nemmeno quando ci sembra di respirare la nostra ora di libertà, ce lo lasciano fare perché fa loro comodo farcelo credere. Dove sono coloro che "osservarono" i dieci comandamenti o che finsero di osservarli per imporli agli altri? Tutti "dormono, dormono, dormono sulla collina", uno accanto all'altro, uno muto come l'altro, uno malinconicamente inerme come l'altro. Poi potremmo trovare un suonatore di strada, Jones, uno di quei suonatori che ci capita d'incontrare sotto i portici e che anche solo per qualche istante ci rallegra dalle nostre preoccupazioni: cosa ci potrebbe dire? Che la libertà non è la caccia spasmodica all'avere l'orto più bello di quello del vicino, l'amore più bello di quello del vicino, i vestiti più belli o la casa più grande, potrebbe proprio dirci: "libertà l'ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato per un fruscio di ragazze a un ballo, per un compagno ubriaco".
Potrebbe dirci che la verà libertà è nelle piccole cose che ti danno un attimo di fuga da tutto questo nostro correre e rincorrere. Libertà pulsa con "la faccia al vento, la gola al vino", libertà naviga sull'onda del "mai un pensiero, non al denaro né all'amore né al cielo", libertà è in tutti quei piccoli gesti che ricordate delle persone che amate o che avete amato, libertà è "nei molti ricordi e nessun rimpianto". Perchè alla fine di tutta questa vita a voi, a noi, non resterà la bella auto comprata che dopo sei mesi diventa brutta e superata, ciò che resta è il battito vitale di tutte le persone che abbiamo conosciuto e che ci hanno trasmesso la libertà attraverso attimi di esistenza. Ciò che resta non sono certo "i buoni consigli della gente che non può più dare il cattivo esempio", di questi ce ne freghiamo, Faber e noi con lui. Ci resteranno invece tutti i visi, tutti i momenti, tutte le parole, i baci o le carezze o anche solo gli abbracci, o il sesso con una sconosciuta ragazza di Cracovia… alla fine di tutto deve restare questa "voglia di giocare ancora con la vita" e anche se qui sulla Terra non è e non sarà mai "un giardino incantato", nonostante "qualcuno che per noi ha inventato" dio, ognuno può e deve comunque cercare la sua via del Campo nella magia genuina e innocente del "sorriso che ti ha regalato" la prima
persona che hai amato e da cui sei stato amato come nella mano della puttana che ti porta al paradiso al primo piano.
E chi si scandalizza per quest'ultima dovrebbe chiedersi del vecchio professore pronto a spendere "diecimila lire per sentirsi dire <<Micio, bello e bamboccione>>", d'altronde di giorno le chiamano "specie di troia" ma di notte… La si può cercare, la si deve cercare la libertà, si devono perdere le giornate a rincorrere il vento perché sono le uniche giornate davvero non perse. Io ne ho "perse" decine così. Si deve sostare all'ombra dell'ultimo sole, assaporando l'ultima brezza di luce, sguardo verso la poesia e orecchie alla speranza. Lo chiamano vivere senza tramonti. Senza dimenticare che, voltando la carta all'appuntamento con la morte, questo ricordo di aver afferrato la vita non ci consolerà "perché quando si muore si muore soli".