Un Milan sicuro, cinico, perfetto, impeccabile ed implacabile fredda tre a zero una Juve a tratti imbarazzante. La umiliamo e ridicolizziamo davanti al suo pubblico che chiude il match intonando gli olè al nostro possesso palla insistito e irridente. Non accadeva da quasi sei anni di espugnare Torino sponda gobba. In genere quando lo si fa è Scudetto, ma era un’altra Juve, va detto. Qui, stasera, non vi è stata mai partita tale è stata la tranquilla e tracotante superiorità dei nostri.
La partita inizia a ritmi alti con le squadre molto corte e compatte. Lo spazio per la giocata davvero è esiguo visto il pressing asfissiante della mediana bianconera. Devono fare così perché per loro recuperare palla nella nostra trequarti è l’unico modo per tentare di rendersi pericolosi ripartendo con Diego. Accadrà quasi mai. Partire dalla propria area in maniera decente per loro è una missione ai limiti dell’impossibile vista la scarsezza in cabina di regia di Felipe Melo e Poulsen. Sui piedi di Chiellini e Cannavaro non mi pronuncio per una sorta di compassionevole rispetto. Ci favorisce anche e non poco la posizione defilata in un ruolo non suo di Marchisio, sulla carta il migliore del quartetto. Il nostro 4-3-3 li infastidisce comunque, Beckham ancor di più. L’inglese non fa nulla di memorabile e speciale ma è fondamentale per l’equilibrio dell’intero undici poiché sempre in movimento. Quando si tratta di dare profondità sulla fascia destra c’è, quando si tratta di farsi trovare libero sulla trequarti c’è, quando si tratta di capire che con Abate avanti deve fermarsi lo fa, quando si tratta di ripiegare o sovrapporsi lo fa. Non spreca un pallone, non sbaglia un passaggio, i compagni lo cercano non a caso.
La nostra manovra offensiva si appoggia, tanto per cambiare, sulla bravura di Borriello. Fondamentale nel momento di maggior pressione bianconera a fare alzare il baricentro della squadra tenendo palla davanti sui tagli intelligenti ad allargare soprattutto a sinistra, combattendo a sportellate con Chiellini, mostrando bravura non comune sia nel controllo del pallone sia nella protezione dello stesso, anche in area di rigore. Non è raro poi che venga incontro ai centrocampisti per poi servire gli inserimenti sulle fasce, il consueto lavoro da pivot alto cui ormai siamo abituati.
Un altro uomo imprescindibile risulta essere Thiago Silva. Nel momento in cui Pirlo non riesce a trovarsi smarcato (spesso ma oserei dire sempre finché c’è un minimo di partita) è lui a fare il regista e lo fa con una precisione chirurgica soprattutto con cambi di gioco che mettono in difficoltà la retroguardia avversaria sul lato debole. Se a questo aggiungiamo le continue scoppole rifilate ad un Amauri inguardabile per cui costituisce un muro insormontabile possiamo tranquillamente affermare che questa è stata la partita in cui il difensore brasiliano si è definitivamente laureato fuoriclasse. Ma Dunga le vede le sue partite e quelle di Lucio? No, così, per sapere.
La rete del primo vantaggio non è nell’aria ma è la classica rete che rifila una grande squadra ad una piccola volenterosa lasciata sfogare per una mezzoretta. Angolo di Pirlo e mega-cazzatona in tandem di Felipe Melo-Poulsen che lisciano un pallone basso, Nesta infila facilmente alle spalle di Manninger. Il portiere austriaco ci delizierà poi nella ripresa con alcune uscite degne del miglior “Mai dire gol”. Dopo questa boiata mister 25 milioni di euro va a perdere un po’ la testa esibendosi, oltre che nei fenomenali lanci ed aperture, anche in un altro colpo del suo repertorio: il pestaggio a casaccio, chiedere a Pirlo e Gattuso. Ah, una mente non lucida dove può arrivare. Ah, un giocatore creato fenomeno ad arte quanto può soffrire il non mostrarsi all’altezza delle aspettative. Ah, quant’è bello parlare ora con uno di quei gobbi che sbandierava il suo acquisto quest’estate credendosi già certo del “trentesimo” (sappiamo che la sportività a Torino non è di casa) Scudetto.
Da questo momento in poi non ci sarà più neanche un briciolo di partita con i nostri che giochicchieranno nell’attesa di colpire ancora e ancora. I poveri gobbi nemmeno solleticano le dita di Dida e s’appigliano mestamente e malinconicamente a quello che ormai è un ex-giocatore, quel Del Piero che appena entrato manda subito due tiri fuori dallo Stadio, cercando poi di cambiare le scarpette, quelle stesse che dovrebbero essere appese al chiodo già da un pezzo.
Il loro 4-3-1-2 produce i due gol di Ronaldinho. Segno che come rigirino quegli scarsotti che hanno per loro c’è ben poco da fare contro l’indisponente superiorità rossonera, tecnica e caratteriale. Sempre sugli sviluppi di un calcio d’angolo entrambe le reti. Diciamo che il primo è in collaborazione con De Ceglie, altro neo-entrato, evidentemente i cambi del nuovo Guardiola proprio portano sfiga se non addirittura danno. Il Gaucho non aveva fatto la sua migliore prestazione, aveva tenuto Grygera basso (sai che guaio se avesse spinto!) e aveva deliziato con qualche raro dribbling, nulla più. Però ha fatto due reti. Continua a segnare adesso, dopo aver deliziato per mesi con gli assist. Il ricordo va subito alla doppietta di Weah nel ’99 ed a quella di Seedorf nel 2004. Fu Scudetto ma era il Delle Alpi non l’Olimpico, era una grande Juve, non una squadra capace solo di battere l’Inter (a proposito, continuano a non impressionarmi seppur acciaccati) nell’ultimo mese e mezzo, non considero il regalo di Parma firmato da Castellini. Era un’altra storia ma stasera Leonardo ha fatto storia, ha messo un’altra pietra della sua personale storia rossonera dopo il trionfo del Bernabeu. Ora il Milan è obbligato a guardare davanti a sè e non più dietro di sè. Non si può scappare dal ruolo che ormai ci stiamo ritagliando in questo campionato. E’ derby-Scudetto senza se e senza ma.