Oggi, nella Gazza cartacea, c’era una magnifica domanda che fungeva da titolo per un articoletto veramente interessante: "Dov’eri quando segnò Sparwasser?"
Io ricordo benissimo dov’ero. A casa, di fronte alla TV in bianco e nero, accanto a mio padre gongolante. Comunista da capo a piedi mio padre, all’epoca regolarmente iscritto al partito ma che due o tre anni dopo, ne ignoro le ragioni, non avrebbe rinnovato la tessera e di politica attiva non ne avrebbe più voluto sapere.
Sì, gongolante, non di più, l’indole di quell’uomo colto ed equilibrato non gli avrebbe mai permesso di esultare per questioni tutto sommato risibili come una prosaica partita di pallone. Ma ricordo che il gol di Sparwasser lo fece particolarmente felice e che la cosa mi colpì. Guarda un pò che cosa può imprimersi nella memoria di un bambino. Addirittura rammento perfettamente che, nell’istante in cui la palla s’insaccò nella rete capitalista, l‘"Antologia Di Spoon River" di Edgar Lee Masters che mio padre stava leggendo (ben più attentamente rispetto alla partita dall’esito a detta di tutti scontato) si richiuse con uno schiocco singolare. E da quel momento in avanti l’attenzione del mio genitore venne calamitata dalla difesa ad oltranza del fortino comunista aggredito dalla furia dei capitalisti ansiosi di lavare l’onta.
Dal canto mio non capivo. Che diavolo: i tedeschi occidentali li conoscevo tutti, erano dei fenomeni. I mondiali erano quelli del ’74, forse gli ultimi degni di essere definiti tali a livello di talento. L’Olanda di Cruijff, la Germania Ovest di Beckenbauer, la Polonia di Deyna, l’emergente Argentina di Kempes. L’Italia vice-campione del mondo uscente di Rivera, Chinaglia e Riva, che soltanto a causa di forti dissidi interni riuscì nell’impresa di non passare neppure il primo turno.
Proprio non capivo che cazzo ci facessero in mezzo a tanto ben di Dio coloro che provenivano dall’altra parte del muro, gli sconosciuti Sparwasser e Pommerenke. Oppure perchè mio padre preferisse questi ultimi due a che ne so, Breitner o al mitico portiere Sepp Maier. E neppure perché, al triplice fischio che sancì la vittoria dell’est nel derby tedesco, egli non fosse in grado di nascondere una soddisfazione eccessiva per i canoni cui mi aveva abituato. Non capivo e men che meno condividevo.